4.000 abitanti in più nell’area compresa tra Albano, Ariccia, Castel Gandolfo e Pomezia.
1.000 nuovi appartamenti che si aggiungono a decine di immobili invenduti.
Questi sono i numeri parziali proposti dai costruttori della CoGeSan per cementificare Santa Palomba, nonostante il mercato non necessiti di nuove case. Non sono speculatori avventati, perché hanno già sperimentato con successo il meccanismo che nel 2000 li ha visti cedere al Comune di Roma 300 appartamenti in via dei Papiri, sempre a Santa Palomba, adibiti poi a case popolari. Gli assegnatari vivono abbandonati al degrado e senza servizi da circa 20 anni. Non hanno l’allaccio alla rete idrica e ancora ricevono l’acqua di un pozzo senza conoscerne la salubrità. Forse il progetto del Comune di Roma è deportare le persone in un ghetto senza servizi?
Come è possibile che non sia necessaria la valutazione ambientale per costruire centinaia di appartamenti a ridosso di impianti industriali esistenti, ripetendo gli errori di pianificazione fatti negli anni ’70 a Taranto? Non si deve arrivare a piangere i morti, per poi pensare che la soluzione sia chiudere le industrie e perdere centinaia di posti di lavoro.
La fornitura idrica è stata faticosamente adeguata alla popolazione esistente e si teme non sia sufficiente a sostenere l’impatto del nuovo insediamento. Pensare di attingere ancora dalla falda, già iper-sfruttata, significherebbe avvelenare le persone con arsenico e metalli pesanti, tantomeno è rassicurante il progetto di farci bere l’acqua del Tevere promosso da ACEA.
Coprire oltre 20 ettari di agro romano con nuovo cemento, che si aggiungono ad altri progetti insensati come la conversione in edificabile dell’area agricola di via Santa Fumia a Pavona e le torri di Paglian Casale sempre a Santa Palomba (80 ettari), significa ridurre ulteriormente le possibilità di rigenerare la falda acquifera, peggiorando la qualità dei prelievi attuali.
Le persone deportate a Santa Palomba, selezionate presumibilmente in base al reddito, dovranno chiedere servizi ai comuni di Albano, Castel Gandolfo, Pomezia e Ariccia da non residenti, pagandoli per intero. Questo è l’housing sociale che ha in mente il Comune di Roma? Inoltre quanto costerà adeguare i trasporti, le strade già sature, le scuole e l’assistenza sanitaria? Chi paga?
Prima di realizzare nuove costruzioni, ci sono tantissime aree urbanizzate ed edifici abbandonati a Roma da rigenerare, il Comune di Roma ha censito ben 76 siti di proprietà privata da recuperare.
Tale progetto di devastazione ambientale e sociale è finanziato da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), con i risparmi degli italiani, ci chiediamo con quali garanzie, viste le previsioni in continua discesa delle quotazioni immobiliari. D’altronde se la popolazione diminuisce a chi servono nuove case?
Il mattone è diventato un investimento ad alto rischio, a prescindere da chi se lo assume, infatti come CDP non può mettere a repentaglio i risparmi degli italiani, tantomeno il Comune di Roma può pagare quotazioni superiori a quelle di mercato, procurando un danno erariale.
Invitiamo tutti i soggetti coinvolti a sedersi attorno ad un tavolo per prendere atto che l’esigenza di costruire, se mai ci fosse stata, oggi sicuramente non c’è. Tali risorse potrebbero essere destinate alla piantumazione di boschi o alla costruzione di un sistema di depuratori, vista l’assenza di bandiere blu sul litorale della provincia di Roma (unico in Italia).
Ne parleremo con i rappresentanti delle istituzioni e alcuni esperti, venerdì 21 giugno alle 17:00 presso il centro anziani di via Roma a Pavona.
Partecipiamo numerosi!