Cronaca di un incendio che ha lasciato dietro, oltre all’odore acre del fumo, qualche polemica e tante domande inevase.
Bella giornata il 30 giugno scorso, non c’è vento e la temperatura è gradevole.
L’aria è ferma e nel cielo azzurro d’estate qualche nuvola bianca galleggia placida, aspettando di vedere lo spettacolo del sole che si tuffa nel mare.
Nessuno poteva immaginare che nel gigantesco capannone di selezione della discarica di Roncigliano, il nemico fosse al lavoro per rovinare la bellezza del tramonto.
Come non si sa e perché neppure, ma fatto sta che all’interno dell’impianto, un posto protetto da fior di sistemi di sicurezza e personale addestrato alla bisogna, è scoccata una scintilla. Nessuno dei tre potenti impianti antincendio è riuscito a spegnerla e il fuoco si è esteso velocemente ai materiali stipati nel capannone.
Il personale ne è uscito illeso, ma in pochi minuti un vortice di fumo nero e pesante ha iniziato a uscire dal capannone salendo fino a 200 metri di altezza, prima che un vento in quota lo piegasse a sud trasportandolo compatto verso Aprilia.
A terra la gente allarmata dalla puzza che prende in gola è scesa in strada, non sa che fare, parla forte, telefona impaurita, qualche mamma carica i figli in macchina e scappa dall’impressionante colonna di fumo che sembra l’eruzione di un piccolo vulcano.
Quando i Vigili del Fuoco guidati da centinaia di telefonate arrivano, le fiamme sono alte 25 metri e avvolgono il capannone a poca distanza dai serbatoi del bio-gas.
L’incendio ha avuto tutto il tempo di crescere indisturbato e ormai è il padrone del campo.
Il fuoco è una creatura selvaggia viva e pulsante, nutrito da migliaia di tonnellate di combustibile, compreso probabilmente di batterie, medicinali scaduti, copertoni, plastiche e resine scambiatrici, e il fumo colorato che il suo respiro pompa fuori alimenta la colonna che sale rombando.
Una parte del fumo più freddo e pesante sfugge al vortice della colonna e scende, colma la buca della discarica e supera l’argine di terra invadendo strade e campagne con una nebbia acre. Si respira a fatica, tutto intorno cominciano a ricadere frammenti di materiale spinti in alto dal calore del fuoco.
I cani abbaiano spaventati dal fumo e dalle sirene che accorrono, c’è chi scappa e chi rimane imbambolato a guardare la colonna di fumo che incombe, molti si tappano in casa impauriti e i “papponi” ritirano la loro preziosa merce dall’Ardeatina.
La situazione è drammatica, non si sa che fare, ci si è scordati d’inserire l’impianto tra le possibili criticità industriali nel nostro Comune e quindi non c’è un piano di emergenza per comunicare rapidamente con la cittadinanza e coordinare i soccorsi. Non ci sono neanche centraline di rilevamento per segnalare l’eventuale presenza di veleni nell’aria.
La capacità di prevenire si è rivelata nulla e ai pompieri sul campo non resta che indossare elmi e respiratori per affrontare il fuoco.
Quello che brucia nel capannone, diventato orami un gigantesco forno, non è un rogo di legna ma un crogiolo chimico industriale, che stimolando gli elementi con calore e pressione li cambia di stato, sposandoli tra loro e svelando lati oscuri del loro carattere.
Un pacifico piatto di plastica a 500 gradi diventa letale diossina e il piombo delle batterie, incontrando i policiclici aromatici delle vernici, innesca big-bang capaci di creare nuove particelle. Dalle reazioni chimiche e molecolari nascono nano-polveri cariche di miscugli devastanti per uomini e animali, che spinte dal calore si alzano e viaggiano col vento.
Ai Pompieri servirà un giorno per piegare l’incendio e un mese per spegnere tutti i focolai residui, un ferito e il ripetuto intervento con mezzi speciali.
Per parecchie ore la colonna di fumo è stata libera di proiettare la sua ombra malefica verso sud, allungandosi nel cielo come un serpente velenoso visibile da Roma ad Aprilia. Ci fosse stato scirocco il nemico avrebbe viaggiato su Roma.
Nei giorni a seguire sono stati pubblicati i dati nella "norma" delle centraline ARPA di Ciampino, Eur Fermi e Cancelliera, ma restano dubbi su Ardea e Aprilia.
Dopo quasi una settimana viene posto sotto sequestro quel che resta dell’impianto e i Comuni hanno dovuto smaltire i rifiuti altrove. A Pavona chi risiede nel Comune di Albano dovrà pagare il terzo aumento consecutivo della TARI (+9%), mentre gli abitanti di Castel Gandolfo pare non debbano sopportare maggiori costi.
L’incendio ha costretto gli amministratori ad accelerare l’estensione della raccolta porta a porta anche alla parte restante di Pavona di Albano, dopo anni di annunci e attese… Lunedì 19 settembre si comincia con la plastica.
Pierpaolo Chiarini